Perché i film horror ci fanno così paura?

A molte persone piace guardare film di paura. Diversi studi hanno dimostrato che la loro visione ha degli effetti fisiologici anche sul metabolismo.

Perché i film horror ci fanno così paura?

Gli horror ci spaventano perché fanno leva sulle nostre paure ancestrali, come la morte, la violenza, il dolore; perché ci mostrano immagini crudeli e scioccanti. I neuroscienziati, infatti, utilizzano spesso per le loro ricerche i film horror in quanto in grado di attivare una parte del cervello, l’amigdala, che gestisce le emozioni e in particolare la sensazione di paura.

Nel cervello, la paura segue due percorsi distinti: gli organi sensoriali passano l’informazione al talamo, dove il segnale, prima di raggiungere l’amigdala, si dirama in due: uno più corto dà l’allarme prima che noi ­si riesca a capire cosa stia accadendo (in 30 millisecondi); un altro, appena successivo, raggiunge la corteccia cerebrale (in 100 millisecondi) e avverte la presenza di un pericolo ­reale. Così, da sempre, l’uomo si salva la vita.

È dimostrato che più sono le volte in cui si assiste a una scena paurosa e più ci si abitua. Accade quindi che il nostro cervello finisce per riconoscere e imparare a reprimere quella sensazione profonda di paura. I registi conoscono bene questo meccanismo: ecco perché, per stimolare sempre più la nostra corteccia cerebrale, devono rappresentare scene “in crescendo”, che aumentano sempre di più la dose di terrore.

L’inquadratura a tutto schermo del dettaglio di un coltello che si conficca nella carne innesca nello spettatore il segnale della paura che fa il percorso più breve verso l’amigdala. Uno studio che ha seguito i movimenti oculari degli spettatori di un film horror ha infatti dimostrato che le loro sensazioni di paura sono correlate alla porzione “paurosa” di schermo che stanno osservando.

Ci sono altri espedienti che vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia: musica ed effetti sonori (suoni cupi, o dissonanti o che simulano urla stridule). I registi più bravi saranno persino in grado di farvi identificare con la vittima attraverso il suo volto terrorizzato o un dettaglio a tutto schermo, per esempio, del coltello e della mano che lo impugna. Un’altra tecnica in grado di farvi venire le palpitazioni infine, è quella di far veder allo spettatore qualcosa che il protagonista non vede. Noi, che lo vediamo, proviamo uno shock: il segnale della paura arriva in 30 millisecondi all’amigdala. Appena dopo, arriva anche il segnale che passa per la corteccia cerebrale: quello della paura più consapevole.

Per chi non lo sapesse, in Giappone il culto dell’horror è sentito moltissimo: sono molti i letterati, i commediografi, i cineasti e, in generale, gli artisti che si sono cimentati in questo genere, realizzando, nel corso della storia del Sol Levante, delle storie di paura a dir poco terrificanti.

Non solo splatter, non solo fantasmi, apparizioni e soprannaturale ma vere e proprie indagini nella profondità dell’inquietudine umana volte a sconvolgere e lasciare attonito il lettore o lo spettatore.

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